Il 27 gennaio, Palgrave Macmillan, casa editrice
attiva soprattutto nelle scienze umane e sociali, ha annunciato l’avvio di un nuovo sistema di peer review
“aperto e trasparente” attraverso cui valutare le monografie di futura
pubblicazione. Per sei settimane, una selezione di dieci proposte editoriali verrà
sottoposta al vaglio della comunità scientifica, intesa nel senso più ampio
possibile: chiunque abbia “qualcosa con cui contribuire” – dallo studente al
professore ordinario – avrà modo di commentare le proposte editoriali e (dove
possibile) alcuni capitoli dei libri. L’unica limitazione sarà che i
commenti – a cui gli autori avranno modo di rispondere in prima persona – dovranno
necessariamente essere firmati con nome e cognome, in modo da garantire
trasparenza ed evitare possibili abusi. Per favorire la più larga
partecipazione possibile, sarà possibile inviare il proprio feedback via Facebook, Twitter o
Wordpress.
Quello di
Palgrave è un esperimento innovativo, anche se con alcune importanti
limitazioni: le proposte editoriali in discussione, infatti, sono state
sottoposte ad una valutazione preventiva da parte non solo della casa editrice,
ma anche di alcuni peer-reviewers tradizionali (scelti dalla redazione e anonimi);
inoltre, gli autori hanno già sottoscritto un contratto con Palgrave, per cui
il processo di open review non avrà lo scopo di decidere se pubblicare o meno le
monografie, ma semplicemente di migliorarle ulteriormente, avviando una
discussione pubblica. Infine, l’iniziativa ha un carattere sperimentale
ed è di durata ben delimitata: un’estensione oltre le sei settimane di prova
non è al momento in programma.
Uno dei meriti di
questo esperimento è quello di indurre a una riflessione sui limiti del processo
di peer-review tradizionale – processo affermatosi da molti decenni a livello
internazionale, ma che solo di recente ha preso campo in Italia, venendo
spesso dipinto come una sorta di panacea per i mali dell’accademia più tradizionalista
e provinciale. All’apparenza, la peer-review funziona in un modo piuttosto
semplice: ogni qual volta la redazione di una rivista, o di una casa editrice,
riceve una proposta per una monografia o un articolo, la sottopone al vaglio di
alcuni esperti (in genere due o tre), che ne valutano la solidità e
suggeriscono se pubblicarla (e nel caso, con quali modifiche) o meno. Il
processo di peer-review, se da un lato sembra rendere le decisioni editoriali meno
arbitrarie, dall’altro
non è garanzia assoluta di qualità o “oggettività”: non solo c’è tutta una casistica di
articoli accettati per la pubblicazione a dispetto di evidenti errori e
scopiazzature; ma soprattutto, il fatto che i reviewers sono in genere scelti
tra gli studiosi già affermati in un determinato campo implica che le proposte
più iconoclaste possano essere rigettate per partito preso, a dispetto
della loro validità – un problema che sembra particolarmente pressante nel
campo delle scienze umane e sociali, in cui le scelte interpretative sono tanto
fondamentali quanto soggettive.
Allargando la
discussione a un pubblico più ampio (e non selezionato a priori), la open
review proposta da Palgrave potrebbe essere un sistema per ovviare in parte a
questi problemi. In realtà, nel campo delle scienze naturali, esperimenti di
questo genere sono già stati avviati: già nel 2006, la rivista Nature aveva
lanciato un primo tentativo di open
review, con tassi di partecipazione a dire il vero non molto incoraggianti
(solo il 5% degli autori prese parte all’iniziativa, e poco più di metà degli
articoli vennero effettivamente commentati). Un’altro dubbio che sorge
spontaneo è quello relativo non tanto alla quantità, ma alla qualità dei commenti:
vista il carattere spesso aggressivo delle discussioni su internet, l’obbligo
di pubblicare il proprio nome sarà sufficiente ad evitare forme di “trollaggio”
accademico? E infine, fino a che punto gli autori delle monografie (già
certi della pubblicazione) saranno poi disponibili a revisionare il proprio
lavoro sulla base della open review? Grazie all’esperimento lanciato da
Palgrave, forse tra sei settimane ne sapremo qualcosa in più.
Nessun commento:
Posta un commento